Martina, Veronica ed Emanuele: gli atleti dell'Università di Bologna alle Paralimpiadi di Tokyo

Due medaglie d’argento e una di bronzo. L’Università di Bologna è nota in tutto il mondo. E anche il mondo, riunito a Tokyo per i Giochi Paralimpici, ha preso coscienza della forza e del talento delle ragazze e dei ragazzi dell’Alma Mater Studiorum che, come diceva una canzone di Antonello Venditti, “non si arrendono mai”.

Martina Caironi, originaria di Alzano Lombardo (Bergamo), 32 anni compiuti da poco, è la veterana del gruppo. Iscritta a Lingue, Mercati e Culture dell’Asia dell’Università di Bologna fa parte integrante del progetto Dual Career. A Tokyo ha vinto l’argento nel lungo e nei 100 metri. E da già appuntamento a tutti a Parigi 2024. “Sono molto soddisfatta per la conquista di queste due medaglie. Perché so la strada e i sacrifici che ho fatto per portarle a casa. I risultati, poi, dimostrano come il livello continui a crescere: se si vuole restare al top, bisogna lavorare tanto”. Soddisfatta, con un unico rimpianto: il salto in lungo. “Il rimpianto è legato al fatto che potevo fare un po’ meglio, perché ho lavorato tanto. Ci voleva il salto perfetto per portare a casa l’oro. L’ho cercato, ci ho provato. Non mi è riuscito”. Diverso, invece, il discorso dei 100 metri dove si è dovuta inchinare alla forza e alla freschezza della giovane Sabatini. “E’ stata una magia, non potevo scegliere un modo migliore per abdicare dal titolo che avevo vinto a Rio de Janeiro nel 2016. E’ stata una finale emozionante, magari non sono partita benissimo, ma ho dato il massimo”. Dietro l’angolo, distante solo tre anni, c’è Parigi. “Adesso mi prendo un mese di stop e di vacanza - racconta Martina - poi tirerò le somme e prenderò una decisione ufficiale. Ma smettere è difficile perché lo sport mi piace. Magari rimanderò qualche progetto legato alla famiglia, ma il 2024 non è lontano”.

Non è lontana nemmeno l’Università di Bologna. “Lo devo riconoscere: l’Alma Mater mi è sempre stata vicina, grazie anche al progetto Dual Career che è importantissimo per chi prova a mettere insieme studio e sport ad alto livello. La pandemia, magari, mi ha aiutato a essere più connessa grazie alla modalità on line, ma il Dual Career è fantastico anche se, causa Olimpiadi, non potevo fare diversamente, ho un po’ mollato. Ma sono pronta a rientrare. Sono pronta a portare le mie medaglie in via Zamboni, in Rettorato. Voglio condividere questi successi con chi mi ha aiutato”.

Veronica Yoko Plebani è nata a Gavardo, in provincia di Brescia, l’1 marzo 1996. A Tokyo s’è messa al collo un bronzo che significa fatica, dedizione, sacrificio. L’ha vinto nei triathlon: 750 metri a nuoto, 20 chilometri in bicicletta, 5 di corsa. Veronica è iscritta al corso di laurea magistrale in Informazione, Culture e Organizzazione dei media. “Era la mia terza esperienza olimpica - dice - e finalmente è arrivata una medaglia. E’ stata un’esperienza fantastica, bellissima. Eravamo al centro del mondo e in quel contesto, anche senza pubblico, abbiamo sentito l’abbraccio della gente”. Un bronzo che luccica anche perché ottenuto in condizioni per certi versi proibitive. “Le temperature, il caos di Tokyo: il bronzo è stata davvero un’impresa della quale sono particolarmente orgogliosa. Sono iscritta all’Università di Bologna e sono felice che, fin da subito, mi sia stata offerta la possibilità di far parte del progetto Dual Career. Forse ho scelto una facoltà insolita, ma sono stata attirata da questa realtà. Mi piace la comunicazione politica. Entrare nella politica? In quella italiana sicuramente no, a livello internazionale chissà, chi può dirlo?”. Vacanza anche per Veronica e la volontà di festeggiare, nei prossimi mesi, con il suo ateneo. “La medaglia è stata davvero un motivo di grande soddisfazione. Credo e spero che ci sarà la possibilità, magari nel contesto di Alma Mater Fest, di ritrovarci tutti insieme. Voglio condividere con l’Università questa mia medaglia”.

A Tokyo c’era anche il “bimbo” della compagnia: Emanuele Lambertini, 22 anni, originario di Cento (Ferrara), ma trasferitosi a San Giovanni in Persiceto, giovanissimo. Ai Giochi di Rio era l’azzurro più giovane, anche a Tokyo c’è andato vicino. Come è andato vicino alla conquista di una medaglia. Ma l’appuntamento per Ema, iscritto a Ingegneria dell’automazione, è solo rinviato. Anzi, sembra quasi averlo fatto apposta. A Emanuele, per un problema vascolare piuttosto serio, fu amputata una gamba, quando aveva solo 8 anni, proprio a Parigi. “Sono nato due volte - ama ripetere -. La seconda a Parigi, perché lì la mia vita è cambiata”. Dall’intervento chirurgico nella capitale francese ai Giochi di Parigi 2024: l’appuntamento con la storia per Emanuele Lambertini, anche lui parte integrante del progetto Dual Career, è semplicemente rinviato. E del resto, quale miglior laurea che vincere con il fioretto nella terra dei tre moschettieri che alla fine erano in quattro?